VITRINE. Felipe Aguila
- Mostra
- 29 Settembre 2014 - 6 Gennaio 2015
La GAM di Torino presenta a partire dal 8 ottobre il quinto e ultimo appuntamento dell’edizione 2014 di Vitrine, il progetto dedicato alla ricerca artistica contemporanea sviluppata in Piemonte. Le opere dei cinque artisti protagonisti di questa terza edizione, curata da Anna Musini, hanno proposto un confronto con la società civile, uno scambio di sguardi, che coinvolge artista e spettatore nel narrare ed interpretare il vissuto quotidiano.
Protagonista del nuovo appuntamento è Felipe Aguila. Il viaggio e la memoria sono temi fondamentali nella ricerca dell’artista, dove esperienze personali, legate alle proprie radici, affiorano in relazione con la società contemporanea e il vissuto della collettività: lo scenario dell’Italia e di Torino interagisce spesso con l’immaginario familiare di Santiago e del Cile, mescolando l’osservazione del paesaggio urbano, del dato quotidiano, con l’analisi introspettiva della propria identità, della propria origine.
Nell’installazione realizzata per Vitrine, una proiezione mostra immagini di repertorio dell’universo e degli astri alternati con riprese dall’alto di strade urbane che inquadrano edifici, monumenti, persone colte mentre camminano sui marciapiedi, parlano, guardano, si fermano al semaforo, agli angoli dei passaggi pedonali, davanti ai bar. Una serie di fotografie, sparse sulla parete come le costellazioni nel cielo, cristallizza particolari delle strade, cogliendo volti, gesti, ritratti: la pancia di una donna incinta, una bambina in bicicletta, il viso di un uomo sono incorniciati come dei provini, o delle foto segnaletiche. L’immagine zoomata perde nitidezza e annebbia i tratti distintivi delle persone a favore di un’atmosfera indefinita e vaga, con suggestioni della tradizione del cinema italiano di Antonioni, Pasolini e Visconti, sviluppando una narrazione in cui il dato reale si confonde con elementi del ricordo, assumendo connotati di incertezza. Nel video due voci fuori campo descrivono l’universo, cercano di dare definizioni del cosmo in una lingua sconosciuta che è tradotta nei sottotitoli, fornendo la sensazione di un filmato documentario in cui sembrano coesistere rigore scientifico e fantasia poetica. La lingua misteriosa diviene metafora dell’enigma irrisolto che l’universo rappresenta per l’uomo, qualcosa che sebbene studiato e analizzato, rimane sempre inconoscibile esercitando fascino e attrazione; qualcosa di lontano e allo stesso tempo vicino, familiare, come la memoria che ha il potere di abbattere qualsiasi distanza, di fare percepire persone e cose che non vediamo, perché sono presenti nel ricordo. Il percorso che le stelle compiono nel cielo trova un parallelo nel viaggio che la vita stessa rappresenta per l’uomo, un intrecciarsi di combinazioni infinite, di lente trasformazioni, di spostamenti nello spazio e nel tempo. Una delle voci fuori campo dice: “Un vuoto in mezzo al nulla vuol dire che forse altre stelle nasceranno”. Non è sicuro, ma è possibile.
L’opera Luce distante. E lenta è realizzata con il contributo di Rete S.p.A.
Protagonista del nuovo appuntamento è Felipe Aguila. Il viaggio e la memoria sono temi fondamentali nella ricerca dell’artista, dove esperienze personali, legate alle proprie radici, affiorano in relazione con la società contemporanea e il vissuto della collettività: lo scenario dell’Italia e di Torino interagisce spesso con l’immaginario familiare di Santiago e del Cile, mescolando l’osservazione del paesaggio urbano, del dato quotidiano, con l’analisi introspettiva della propria identità, della propria origine.
Nell’installazione realizzata per Vitrine, una proiezione mostra immagini di repertorio dell’universo e degli astri alternati con riprese dall’alto di strade urbane che inquadrano edifici, monumenti, persone colte mentre camminano sui marciapiedi, parlano, guardano, si fermano al semaforo, agli angoli dei passaggi pedonali, davanti ai bar. Una serie di fotografie, sparse sulla parete come le costellazioni nel cielo, cristallizza particolari delle strade, cogliendo volti, gesti, ritratti: la pancia di una donna incinta, una bambina in bicicletta, il viso di un uomo sono incorniciati come dei provini, o delle foto segnaletiche. L’immagine zoomata perde nitidezza e annebbia i tratti distintivi delle persone a favore di un’atmosfera indefinita e vaga, con suggestioni della tradizione del cinema italiano di Antonioni, Pasolini e Visconti, sviluppando una narrazione in cui il dato reale si confonde con elementi del ricordo, assumendo connotati di incertezza. Nel video due voci fuori campo descrivono l’universo, cercano di dare definizioni del cosmo in una lingua sconosciuta che è tradotta nei sottotitoli, fornendo la sensazione di un filmato documentario in cui sembrano coesistere rigore scientifico e fantasia poetica. La lingua misteriosa diviene metafora dell’enigma irrisolto che l’universo rappresenta per l’uomo, qualcosa che sebbene studiato e analizzato, rimane sempre inconoscibile esercitando fascino e attrazione; qualcosa di lontano e allo stesso tempo vicino, familiare, come la memoria che ha il potere di abbattere qualsiasi distanza, di fare percepire persone e cose che non vediamo, perché sono presenti nel ricordo. Il percorso che le stelle compiono nel cielo trova un parallelo nel viaggio che la vita stessa rappresenta per l’uomo, un intrecciarsi di combinazioni infinite, di lente trasformazioni, di spostamenti nello spazio e nel tempo. Una delle voci fuori campo dice: “Un vuoto in mezzo al nulla vuol dire che forse altre stelle nasceranno”. Non è sicuro, ma è possibile.
L’opera Luce distante. E lenta è realizzata con il contributo di Rete S.p.A.