Conferenze intorno alla mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario
- Activity
- 12 June 2023 - 17 July 2023
Palazzo
Madama – Museo Civico d’Arte Antica propone, dal 12 giugno al 17 luglio 2023 alle ore 17, un ciclo di conferenze sulla
mostra Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario,
in corso fino al 28 agosto 2023.
Sei conferenze, a ingresso gratuito, che approfondiscono
alcuni dei temi presentati nell’esposizione attraverso 350 opere provenienti da
importanti musei italiani e da oltre venti musei greci.
Gli
incontri sono a cura di studiosi – archeologi, storici e storici dell’arte –
che da prospettive e ambiti disciplinari differenti affrontano il millenario
sforzo di un Impero teso al dialogo tra la cultura classica e quella orientale.
Il programma
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Lunedì
12 giugno ore 17: Lignaggi piemontesi e Impero bizantino
Con lo
storicoWalter Haberstumpf
Le vicende dei marchesi di Monferrato, dei Savoia e degli Acaia, nonché di altri lignaggi piemontesi sono ben conosciute quanto studiate, ma sovente non si conosce la loro vocazione oltremarina ovvero i loro rapporti con l’impero bizantino. Questi casati, anche per uscire dal loro particolarismo locale, ebbero complicate relazioni politiche, economiche e matrimoniali con Bisanzio, in un moto quasi pendolare specialmente nei secoli XII-XV. Pagine di storia ancora da studiare e da approfondire.
Walter Haberstumpf “bizantinista della scuola di Torino", membro del C.R.S.M. (Centro di Ricerca sulle Istituzioni e Società Medievali di Torino), collabora con numerose riviste. In vari congressi internazionali ha tenuto conferenze sui rapporti tra Europa e Bisanzio. Circa le relazioni tra i lignaggi europei e il vicino Levante è autore di numerosi articoli saggi e libri.
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Lunedì
19 giugno ore 17: Costruire la mostra “Bizantini”. Il Percorso dall’ideazione alla
realizzazione
Con Federico Marazzi, curatore della mostra
Raccontare mille anni di uno Stato che ha cambiato più volte estensione geografica e sistema organizzativo e a cui diamo oggi un nome che i suoi abitanti non conoscevano e in cui non si sarebbero mai riconosciuti: questa è la sfida che vuole affrontare – e vincere – il progetto di una mostra sull’Impero Bizantino. Come affrontarla? Una mostra su Bisanzio deve giocarsi fra due polarità: individuare e analizzare gli aspetti che più hanno contribuito a conferire continuità apparente all’Impero e, allo stesso tempo, rilevare le mutazioni che essi hanno subito nel tempo, contribuendo a definire delle “epoche” fra loro differenti. Allo stesso tempo, va considerato che la lunga parabola storica di Bisanzio, nonostante abbia toccato in più tempi e in più luoghi l’intero territorio italiano (lasciando proprio in Piemonte l’ultimo suo segno con la presenza della famiglia dei Paleologi alla testa del marchesato del Monferrato), è scarsamente entrata a far parte di ciò che compone il sentimento identitario della nazione italiana. Bisanzio, insomma, non è mai riuscita a essere, nel nostro immaginario condiviso, ciò che, ad esempio, sono state la Grecia antica e Roma, ma anche molte delle altre civiltà che Roma ha soggiogato sul territorio italiano e di quanto non sia stata anche quella dei Longobardi, a cui è stato attribuito il ruolo di demolitrice di quella romana. In rapporto all’Italia, essa è invece rimasta a lungo su un binario morto della storia, su cui l’ha costretta una retorica storiografica sette-ottocentesca che ha visto in essa un’estenuazione della cultura romana immersa in un’atmosfera d’oriente tanto affascinante quanto però sostanzialmente percepita come aliena e incomprensibile. Questa mostra è stata quindi la prima occasione, per l’Italia, di dare una sua lettura di questo segmento del proprio passato, che rivedesse criticamente gli orientamenti sette-ottocenteschi e operasse una “immersione” del tema entro il flusso vivo della storia nazionale e delle sue connessioni con il mondo mediterraneo.
Federico Marazziè professore ordinario di Archeologia Cristiana e Medievale presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, dove dirige anche la Scuola di Specializzazione in beni Archeologici gestita insieme all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli". I suoi interessi scientifici si incentrano sullo studio della transizione dall’Antichità al Medioevo nell’Italia centro-meridionale e sullo studio storico-archeologico degli insediamenti monastici. È stato curatore della mostra sui Longobardi (Pavia-Napoli-San Pietroburgo 2017-2018) e di quella sui Bizantini (Napoli-Torino 2022-2023). Collabora con il Museo Nazionale Romano come coordinatore scientifico del riallestimento della sezione tardoantica e altomedievale della sede di Crypta Balbi.
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Lunedì
26 giugno ore 17: Bella di fama e di sventura. Galla Placidia, la virtù del potere
Con Giovanni Carlo Federico Villa, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte
Antica
Una principessa romana, che sposa un re barbaro, diviene regina dei Goti e poi l’ultima (e unica) imperatrice romana d’Occidente: è la storia di Galla Placidia. Siamo nel V secolo, il secolo delle grandi leggende – dal ciclo di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda alla saga dei Nibelunghi – il secolo di Attila, Sant’Agostino e San Patrizio. E tra tutti questi personaggi, quello di cui abbiamo più dati storici, Galla Placidia, è il solo a non avere generato poemi epici o ricche agiografie. Eppure, quando Galla nasce, figlia e nipote di imperatori, l’Impero romano è più vasto di quanto fosse stato ai tempi di Augusto; e quando Galla muore, nel novembre del 450, Roma è già stata saccheggiata dai Goti, gli Unni hanno travolto le terre dell’Impero, la Britannia, l’Africa, buona parte delle Gallie è perduta e i Vandali si accingono a devastare una seconda volta la caput mundi. E di tutta questa grande storia Galla Placidia non è semplice spettatrice, ma una delle massime protagoniste. Protagonista di quella straordinaria epoca che segna la fine dell'unità politica del mondo mediterraneo e apre alle migrazioni di popoli da cui nasce l'Europa moderna, cristiana e romano-germanica.
Giovanni Carlo Federico Villa, oggi a Palazzo Madama, professore presso le Università di Bergamo e di Udine, è stato componente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e Paesaggistici (2019-2022) e direttore onorario dei Musei Civici e Conservatoria Pubblici Monumenti di Vicenza (2015-2018). Ha curato numerosi progetti espositivi in Italia, tra cui quelli per le Scuderie del Quirinale di Roma (2006-2013), e all’estero. Autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche e monografie, numerose sono le sue presenze divulgative relative al patrimonio artistico nazionale sui principali canali radiotelevisivi italiani e stranieri.
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Lunedì 3 luglio ore 17: Smalti bizantini tra Oriente e Occidente
Con Giampaolo
Distefano,
Università degli Studi di Torino
L’arte bizantina, tra le sue varie manifestazioni, si distinse per una significativa produzione di smalti cloisonnés, realizzati soprattutto nella capitale dell’Impero ma ben presto anche nelle zone rientranti sotto la sua diretta influenza culturale. Tali smalti, dalle caratteristiche tecniche codificate e dai canoni stilistici assai riconoscibili, formano a oggi un corpus scalato su più secoli ma la cui età dell’oro si individua soprattutto tra il X e la fine del XII secolo. Si tratta per la maggior parte di piccoli esemplari con figure a mezzo busto, più raramente di grandi placche con vere e proprie scene neotestamentarie. Caratteristici di questa produzione furono anche minuti smalti con raffinati motivi ornamentali accostabili a quelli dei coevi manoscritti miniati o della pittura monumentale. Questo intervento ripercorrerà le vicende dello smalto bizantino attraverso le sue testimonianze più eclatanti senza tralasciare i rapporti che questo tipo di produzione ebbe con l’Occidente sia tramite l’arrivo di manufatti finiti, sia tramite i viaggi di artigiani specializzati.
Giampaolo Distefano ha studiato all’Università di Catania, Siena e Torino dove dal 2019 è assegnista di ricerca in Storia dell’arte medievale. Si è specializzato nello studio delle arti suntuarie di XII-XV secolo specialmente in Italia, Francia e nello spazio mediterraneo, da un punto di vista della circolazione artistica e con una particolare attenzione alle fonti. Ha contribuito ai cataloghi delle opere d’arte suntuaria della Cassa di Risparmio di Volterra, della Galleria Sabauda e del Museo di Palazzo Madama di Torino, del Museo del Bargello di Firenze e di Palazzo Venezia a Roma. Nel 2020 ha co-editato gli studi in onore di Danielle Gaborit-Chopin, nel 2021 ha pubblicato la monografia Esmaltis viridibus. Lo smalto de plique tra XIII e XIV secolo, dedicata allo smalto de plique nel contesto delle relazioni e degli scambi tra Parigi e le corti europee. Suoi articoli sono comparsi, tra le altre, nelle riviste Zeitschrift für Kunstgeschichte, Arte medievale, Convivium, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz. Dal 2019 è membro della Société nationale des Antiquaires de France.
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Lunedì 10 luglio ore 17: Una vita, molte leggende. Teodora di Bisanzio santa e
diavolessa
Con Paolo
Cesaretti,
Università degli Studi di Bergamo
Teodora, la più famosa tra le donne di Bisanzio, visse circa 50 anni, dal 500 al 548, e passò metà della sua vita sul trono al fianco dello sposo Giustiniano (secondo alcune interpretazioni, fu una sua vera e propria “collaboratrice”), lasciando un marchio indelebile sul mondo di allora, sospeso tra Oriente e Occidente oltre che tra Tarda Antichità e Medio Evo. Ma forse ancor più profondo e duraturo è il segno da Teodora impresso negli immaginari collettivi di tante tradizioni culturali diverse e a prima vista incompatibili. Il decadentismo europeo la celebra come archetipo della femme fatale, le tradizioni cristiane ortodossa e monofisitica la elevano nel corso dei secoli all’onore degli altari, mentre la Controriforma cattolica la assimila a una “furia infernale”. Gli stessi scrittori di epoca giustinianea ora la esaltano come “la più intelligente di tutti e di sempre”, ora la denigrano come una “rovina dell’umana stirpe”, e quest’ultimo accento risuona nelle voci di Gibbon e di Voltaire. In anni recenti la cultura femministica fa di Teodora una sua “icona”, mentre il mosaico ravennate che la ritrae con il suo seguito continua a incantare migliaia di visitatori. Sulle ragioni e sugli intrecci di questo caleidoscopio storico-culturale interviene – con il corredo di alcune immagini significative - Paolo Cesaretti, che all’epoca di Teodora e di Giustiniano ha dedicato un’ampia serie di pubblicazioni.
Paolo
Cesaretti è professore associato di Civiltà Bizantina presso l’Università di
Bergamo. Condirettore scientifico del periodico di cultura greca “Periptero” (Atene),
è membro di numerosi comitati scientifici, associazioni e accademie in Italia e
all’estero. Le sue
pubblicazioni, molte delle quali apparse o tradotte all’estero, comprendono
edizioni critiche, testi di scavo, monografie, traduzioni commentate di testi
bizantini (con particolare riferimento all’agiografia e alla storiografia), classici
della bizantinistica novecentesca, articoli scientifici, opere di consultazione
sul patrimonio linguistico e mitologico classico.
La sua Teodora.
Ascesa di una imperatrice(Mondadori, Milano 2001; nuova ed. Bolis, Azzano
P. Paolo [BG] 2021) è stata tradotta in otto lingue straniere e gli è valsa il
Premo Grinzane Cavour per la saggistica (2002). Ulteriori riconoscimenti e
traduzioni hanno avuto due altre opere di narrative non fiction legate a
Bisanzio: L’impero perduto (Mondadori, Milano 2006) e Le quattro
mogli dell’imperatore (Mondadori, Milano 2015).
Ha maturato
una lunga esperienza nel mondo giornalistico e soprattutto editoriale sin dagli
anni universitari. Le sue collaborazioni con quotidiani e periodici vertono su
temi legati, oltre che alla cultura bizantina e alla persistenza della cultura classica,
anche all'attualità politico-culturale.
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Lunedì 17 luglio ore 17: Il nostro debito con Bisanzio
Con Mario Gallina, già Professore ordinario
di Storia bizantina presso l'Università degli Studi di Torino
Nella percezione collettiva Bisanzio è soprattutto un luogo di decadenza e di storie di palazzo. Certo intrighi e congiure palatine non mancarono, ma la sostanza di quell'impero fu ben altro: Bisanzio, infatti, fu il prezioso scrigno in cui i valori umani della politeia e della paideia, vale a dire di un'educazione culturale e politica in cui pienamente si realizza l'uomo sapiente, tramandati dall'antichità greco-romana e integrati nei quadri culturali e nei bisogni del cristianesimo, vennero per lunghi secoli custoditi, per essere poi trasmessi a quell'Occidente che, dopo aver rischiato di perderli, saprà arricchirli e trasformarli.
Mario Gallina, già Professore ordinario di Storia bizantina presso l'Università degli
Studi di Torino. Tra le sue opere: Una
società coloniale del Trecento. Creta fra Venezia e Bisanzio (Venezia
1989);Potere e società a Bisanzio
(Torino 1995);L’Italia mediterranea e
gli incontri di civiltà (con P. Corrao e C. Villa, Roma-Bari 2001);Conflitti e coesistenza nel Mediterraneo
medievale: mondo bizantino e Occidente latino(Spoleto 2003);Incoronati da Dio. Per una storia del
pensiero politicobizantino (Roma
2016);Bisanzio. Storia di un Impero
(Roma 2016).
Ingresso libero
fino a esaurimento posti
Prenotazione consigliata: t. 011 4429629 (da lunedì a venerdì, orario 9,30-13 e
14-16)
e-mail:madamadidattica@fondazionetorinomusei.it